Informazioni personali

La mia foto
Faccio fotografia da una vita con le mie Canon che si sono evolute in qualità e grandezza nell'arco degli anni. Scegliere me significa non sentire la presenza di un estraneo, ma di un professionista che saprà mettervi a vostro agio dal primo momento, riuscendo a catturare tutta la spontaneità delle emozioni di un giorno speciale per un reportage matrimoniale all'altezza delle vostre aspettative. Sono attivo tutto l'anno in Lombardia, da luglio ad agosto in Sicilia. Non esitare a contattarmi su raf.damiano@gmail.com per un preventivo. Sarà un piacere conoscerci. Portfolio rafdamiano.wixsite.com/rdphotos

giovedì 27 gennaio 2011

Senza una donna.

L’indagine che passo in rassegna è stata documentata su soggetti di sesso maschile. Una grossa fetta di questi appartiene ai miei cugini con cui ho passato un’infinità delle mie inutili giornate e una piccola parte, solo piccola (?), analizza il mio modus "animalis" vivendi.
Quando l’uomo si ritrova senza una donna regredisce al suo stadio primordiale. Non che ci dispiaccia la compagnia, però la donna rappresenta un richiamo alla decenza che tante volte non ci sembra proprio necessaria, soprattutto se ci troviamo a casa. Gli “e sti cazzi!” si sprecano, perché se siamo soli bisogna assecondare solo le necessità primarie per sopravvivere al prossimo ritorno alla civiltà. Mangiare, dormire, evacuare. In assenza di estrogeni tra le mura il rutto diventa libero, ma la flatulenza persino obbligatoria, motivo di vanto tra pari. Gli orari sembrano vittime del fuso e le stesse pietanze possono ripetersi per giorni anche a rischio di contrarre lo scorbuto, perché normalmente la vena culinaria non ci appartiene e un’insalatiera usata il giorno prima che la lavi a fare se ci devi rimettere l’insalata? Idem per la pentola. Ho assistito a scene in cui addirittura una pasta da forchetta veniva trangugiata con il cucchiaio. Il fornello poi diventa una supernova. Schizzi, colate, sbruffate di pentole si mischiano stratificandosi. Dopo 7 giorni puoi tracciare il menù della settimana. Automaticamente tutto si sposta. Tutto è ovunque tranne che al suo posto. La tazzina può arrivare sulla lavatrice. Il piatto sul comodino. La bottiglia sulla scrivania. Puoi mangiare ovunque, anzi devi. Così persino a letto puoi sgranocchiare qualcosa di fragrante e rigorosamente proibito. È l'anarchia  dei pasti. Rigirandoti nel letto probabilmente ritroverai tutta una comitiva di molliche tra le pieghe del collo a fare rafting sui rivoli di sudore notturno. Mentre le lenzuola, più passano i giorni, più assomigliano ad un incarto di Ferrero Rocher. Beh, perché rifare il letto? Sta sera ci devo dormire di nuovo! E poi quando stai disteso la posizione è quella classica. Con una mano ti gratti la testa nel recondito tentativo di risolvere dubbi inconfessabili, mentre con l’altra ravani nella mutanda. Ma non per provocare per forza una mutazione strutturale. Così. Per stare in compagnia. Per maneggiare un po’ di Pongo. Per ricordarmi che sono il maschio della casa. I vestiti si accatastano su tutti i ripiani. Cambiano le combinazioni, ma non cambiano gli indumenti. Perché devono durare il più possibile prima che una mano misericordiosa riavvii il frullapanni. Ormai i tavoli fanno da post-it per la polvere sedimentata e d’altronde, se lei non è venuta a infastidirmi, io perché devo andare a cercarla? Il parquet è diventato moquette grazie al pelo dei più pelosi e per il corridoio girano a Loop le colonne sonore di Morricone insieme ai cumuli di polvere che ruotano rimbalzando al primo spostamento d'aria. Alla fine ti rendi conto che è giunta l’ora che qualcuno ti riporti a quel noioso rigore che ti ritrasforma in essere umano. Meno male.

venerdì 7 gennaio 2011

Training Soon.

Da bambino avevo la tessera del cinema. Potevo andare dove e quante volte volevo, ma non andavo quasi mai. Un amico del palazzo si stupiva del perché non ci andassi mai. Gli risposi: “E chi se ne frega di andare al cinema quando posso contare sulla ricca videoteca di mio padre”, che per l’esattezza contava una ventina di videocassette. La metà erano riprese amatoriali, mentre le rimanenti vantavano: Commando, Rambo I e II, Rocky II, III e IV (quindi non sapevo neanche come fosse iniziata la saga),  Over the Top, Aquile d’acciaio, gli spezzoni del Benny Hill Show e dei mitici Trettrè ai tempi del Drive In, e, colpo di scena, RainMan. Quest’ultimo deve esserci finito per caso.

Per questo il mio amico Vincenzo, prendeva la tessera e andava anche da solo. Oggi fa il regista, ha  lavorato anche per la Rai e produce dossier pluripremiati. Mentre io sono rimasto un povero disgraziato ormai senza tessera che per evitare di pagare il cinema deve rincorrere i punti fragola all’Esselunga. Con qualche film in più magari avrei fatto il tecnico di montaggio o magari il bigliettaio in un multisala. Chissà.
 
Una simile indifferenza mista a serate passate a impregnarmi di cloro ha generato una cultura cinematografica così laconica che persino "Per un pugno di dollari" per me è ancora una Prima Visione. Il vantaggio di questa forma di ignoranza è che per i prossimi 30 anni potrò evitare le TV a pagamento potendo fruire per la primissima volta di qualsiasi pellicola messa in palinsesto. Per la legge del contrappasso però sono capitato nel girone dei colleghi cinefili. C'è il malato da 800 dvd, il patito da 300, il selettivo da 100. Quest'ultimo si è prefissato una missione: colmare il mio gap cinematografico. Sistematicamente mi presta 3 dvd. Grazie a lui ho finalmente scoperto il significato di "[...]un'offerta che non potrai rifiutare". Io pensavo si trattasse di una battuta da ipermercato. Ma è giunta l'ora di recuperare. Mi sto impegnando. Ce la sto mettendo tutta e la sera mi sciroppo persino i super classici tipo Colazione da Tiffany o Eccezzziunale...veramente. Senza distinzione di genere.

Così l'altra sera apro il mio bel dvd in prestito: Babel. L'ansia incomincia a salire fin dalle prime scene e a fine film ho un'angoscia tale che mi devo sparare tutta la Golden Collection di "Winnie the Pooh" per tranquillizzarmi. Il film è trattato davvero in modo inedito, direi.  Almeno per me. Esplora realtà diverse e lontane concatenandole in maniera univoca.  Si spazia dal Messico, alla Tunisia, per finire in Giappone. La narrazione è così scarna da far sembrare le vicende vere. Storie di vita così distanti da noi che non riusciremmo nemmeno ad immaginarne l'esistenza. Eppure sono là. Parallele alla nostra. Girano su altri meridiani, ma sarebbero tangenti alle nostre se solo lo volessimo. L’episodio più alienante parla di un'audiolesa nipponica talmente emarginata da essere disposta a scoparsi chiunque, pur di rivendicare la propria normalità di essere umano. La ricerca di un contatto fisico forse è la metafora della disperata voglia di provare ciò che l'udito non può sentire. Il calore umano. Gli stacchi di camera seguiti da un audio-non audio esprimono il disagio mostruoso dell'incomunicabilità.

Il regista fa riflettere su quante storie colorino il mondo. Ognuno di noi ne porta con sé una, ma solo poche vedono la luce riuscendo a raccontarsi. Ognuna di questa andrebbe tramandata per il semplice fatto di essere stata sofferta, goduta, vissuta. Ed è solo grazie a chi sa dargli voce, è grazie a cantanti, scrittori, registi, che possono essere conosciute, reclamandone la propria dignità. Grazie a tutti voi.

mercoledì 5 gennaio 2011

Ma per cortesia.

In genere sono più le cose che odio che quelle che amo. Tra queste le formule di cortesia. Emblema dell'ipocrisia. Le considero locuzioni studiate per prenderci cortesemente per il culo. Per esempio, anche quando non te ne può fregare di meno di qualcuno, a un semplice "Ciao" aggiungi un "Tutto bene?" per dare un po' di spessore ad un saluto fugace. Per questo l'interlocutore, intuendone il valore superficiale, spesso ti liquida con un "Tutto appposto, Grazie!" Quando magari si è appena lasciato con la ragazza perché l'ha trovata a letto con il suo migliore amico: Fido. Io rispondo con un "abbbastanza", comunicando che potrebbe andare  meglio e che chi ha voglia di polemica può pure approfondire l'argomento. Un'altra formula che non sopporto è il "Salutami tutti" a cui si risponde (almeno dalle mie parti) con un "Non mancherò!" anche se poi "mancherai" sistematicamente per pigrizia e abitudine. Anche perché che fai? Devi raccattare i "tutti" a cui si riferiva l'altro per porgergli un semplice "Ti saluta Tizio". Però è anche vero che se sei furbo te la cavi con un "Vi saluta" smunto e incolore, dopo aver riagganciato la cornetta. A questo si replica di  norma con "Ricambia", quando ormai non puoi ricambiare più. Io taglio secco con un "OK", per la serie: se vuoi ingraziarti qualcuno fallo di persona con gesti concreti. E poi c'è il principe dei convenevoli: "Auguri". Con quella A faraonica, solenne. Gli auguri non si negano neanche agli sconosciuti. Ma Auguri di che? di cosa? Ma chi lo conosce e chi se ne frega di cosa gli succederà?! Tutt'altro valore hanno invece suddette formule quando le rivolgi alle persone di cui veramente ti importa e possono aprire interminabili e piacevoli conversazioni. A queste, insomma, preferisco un bel "vaffanculo" sincero che mi fa capire bene con chi sto parlando, perché il peggiore squalo è quello che non si vede.